Pre-scriptum: di questa giornata stiamo ancora recuperando le (poche) foto!
Oggi è una giornata interamente di viaggio. Ci passano a prendere alle 5.45 per portarci in aeroporto per il volo verso Quito, capitale dell’Ecuador, volo che comprende uno scalo di un’ora a Lima. Intanto l’orologio si porta indietro di un altro paio d’ore, quindi siamo a -6 dall’Italia. Il primo volo direi tutto ok, tutto tranquillo, pisolino ed inizio del primo guerre stellari, perché ci piace essere cool e al passo coi tempi. Il secondo volo, durante l’arrivo a Quito, si comincia a ballare e l’aereo singulta, così come molti passeggeri. Quello dietro fa dei respironi che – ora lo posso dire – sembra Darth Vader (o Dart Fener così come citato in alcuni dei film). L’aereo ci prova ad atterrare, ma poi torna su e riprende quota. La mia vicina (non Sara: l’altra!) si attacca ai braccioli e al sedile davanti e si guarda in giro con la faccia dei cani coi fuochi d’artificio. Secondo tentativo ancora ballerino, ma si atterra e gli occupanti sfogano la paura in un poderoso applauso (che quindi non è prerogativa degli Italiani!).
Ci vengono a prendere ai 2.300 metri di quota e ci portano ai 2.900 metri di Quito e del nostro albergo. E’ una casa molto vecchia, ristrutturata ad albergo, e siamo in una mansarda molto particolare, con le pareti verdi e blu. Non è un hotel con l’aria condizionata, è più un’esperienza! Sfatti e stanchi, ci attappetiamo sul letto.
La questione base è che a partire dal nostro transfer, tutti ci descrivono Quito come una città insicura. “Non portate con voi gioielli, passaporti, troppi soldi”, ci dice il contatto dell’agenzia. “Ma non preoccupatevi,” ci aveva detto l’autista” se si presentano con un coltello o la pistola, vogliono solo soldi, non preoccupatevi!”… E grazie! Recuperiamo un poco di energia per scendere a vedere la capitale, ma Paolo si è preso un po’ di raffreddore e comincia a covare qualche lineetta di febbre. Facciamo due passi sulla via più vicina all’albergo (inciso: dal nostro albergo Cultura Cafe si può uscire solo se c’è il portiere, perché esce con te e apre a mano un lucchetto che chiude il cancello della porta: “E tutta notte abbiamo una guardia per non avere problemi”, ci dice l’albergatore). Ci facciamo indicare qualche ristorante ed in tre ci consigliano il ristorante Achote. C’è un po’ di coda ma quando riusciamo ad entrare (e dietro di noi il ristoratore serra la porta di ferro) devo dire che l’esperienza non è travolgente, non tanto per il personale che è piacevolissimo e gentile, ma per la lunghezza dell’attesa al tavolo e nulla forse di eccezionale nelle empananadas di aperitivo e nelle ceviche che prendiamo. C’è da dire che in questa passeggiata (che facciamo più lunga alla ricerca di un altro ristorante che ci avevano segnalato) la città sembra assolutamente tranquilla e, come spesso abbiamo avuto modo di vivere qui in Sud America, piena di musica a tutto volume! Torniamo in mansarda, ci vediamo la fine del primo StarWars e ci addormentiamo!
Ah: non ci hanno neanche avvicinato per derubarci, GUFI!